Yoga Sūtra di Patanjali

Yoga Sūtra di Patanjali

Patanjali e’ l’autore degli Yoga Sutra, una collezione di aforismi sulla conoscenza dell’antica disciplina dello yoga tramandata fino a quel momento esclusivamente per via orale. Si pensa che Patanjali sia vissuto tra il 100 a.C .e il 500 d.C., sebbene la data esatta rimanga ancora sconosciuta. Patanjali viaggiò attraverso l’intera India, studiando e analizzando come diversi maestri e praticanti svolgevano lo Yoga. 

 

Degli otto membra dell’Ashtanga Yoga di Patanjali, Sri Dharma pone particolare attenzione agli Yama e Niyama. Secondo Sri Dharma, conoscere e praticare Ahimsa, il primo principio etico degli Yama, è fondamentale per sviluppare la compassione verso ogni essere vivente. Da qui la comprensione e attuazione di tutti gli altri principi avverrà conseguentemente e naturalmente. 

Yama e Niyama

Gli yama e niyama sono rispettivamente principi etici e morali e stile di vita da rispettare, verso gli altri e verso noi stessi. Costituiscono i primi due livelli delle otto membra dello yoga, gli altri sono Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana e lo stato finale Samadhi. Sono considerati “membra” come parti di un intero organismo, l’uno senza l’altro non potendo sussistere.

Yama

Regole etiche da vivere verso ciò che ci circonda, sono: ahimsa, satya, asteya, brahmacarya, aparigraha.

 

Ahimsa: “non-violenza”, non significa soltanto non commettere crudeltà o ingiustizia verso ogni forma vivente e se stessi, ma raggiungere la sensibilità di riconoscersi negli altri, provando amorevole compassione e comprensione per loro;

Satya: “verità”, attiene a “dire il vero”, non mentire agli altri ma neanche a se stessi. Il praticante è tenuto ad essere sincero nelle azioni, nelle parole e nella mente, aspirando ad agire in armonia con la Verità che risiede in ciascuno di noi;

Asteya: “non-rubare”, “non prendere ciò che non ci appartiene”, bandendo anche l’inclinazione a desiderare ciò che è di un altro, o a tradirne la fiducia;

Brahmacarya: “autoritenzione”, significa essere capaci di controllare gli impulsi dei sensi e delle energie;

Aparigraha: “non-attaccamento” alle cose, nel senso di non dipendere da esse, sapendo invece prendere solo ciò che è necessario.

Niyama

Indicano il comportamento verso noi stessi, lo stile di vita del praticante, e sono: saucha, santosha, tapas, svadhyaya, ishvara pranidana.

Saucha: “pulizia” o “purezza” esteriore del corpo, intesa come igiene personale, cura della dieta e dell’ambiente, ma anche interiore della mente, che deve essere pura e ordinata;

Santosha: “contentezza”, la capacità di accontentarci di ciò che abbiamo, nel senso anche di essere modesti nel non smaniare per vedere i risultati delle azioni che spesso non avvengono nel modo in cui ci aspettiamo. Santosha riguarda il nostro modo di rapportarci a ciò che la vita ci offre, è accettare ciò che viene ed essere paziente;

Tapas: “scaldare” “trasformare”, è mettere se stessi alla prova per il fine della purificazione, attraverso un fuoco che purifica entrambi il corpo e la mente e ne elimina le scorie. Esso è un fuoco spirituale che induce all’azione purificante, consentendo il progresso spirituale del praticante;

Svadhyaya: “studio delle Scritture” dedite alla conoscenza del Sé, quindi, arrivare a conoscere se stessi attraverso lo studio e la riflessione dei testi antichi. Essi devono risuonare in noi attraverso l’esperienza diretta e la meditazione;

Ishvara Pranidhana: “la resa, il deporre tutte le nostre azioni ai piedi di Dio”, lasciando tutto a un potere superiore, la nostra preghiera quotidiana.